Un calcio e un assolo sperimentale
Recentemente sono venuta a conoscenza di un episodio della storia del Saturday Night Live di cui ero all’oscuro (nonostante abbia scritto una tesi di laurea magistrale sulla sua rilevanza culturale…)
Lasciate che vi racconti di quella volta in cui a seguito della loro prima e ultima partecipazione alla trasmissione di cui sopra, i Red Hot Chili Peppers rimasero senza il chitarrista (per la seconda volta), andando simultaneamente nella top ten di Billboard.
Il 22 Marzo del 1992 la band di Los Angeles approdava allo studio 8H del Rockfeller Center di New York per esibirsi, come da copione, con due canzoni.
Il Saturday Night Live è una di quelle occasioni storiche per gruppi alternativi o esordienti: se non fanno cazzate, il successo nazionale è matematicamente assicurato.
Stavolta, però, le premesse non erano esattamente le migliori. John Anthony Frusciante, chitarrista ventunenne del gruppo, non era un grande apprezzatore del concetto di fama applicato alla musica rock. Insofferente da tempo, era ai ferri corti con quasi tutti, ma in particolare con il frontman Anthony Kiedis. Quest’ultimo, forza della natura sul palco e nella vita, non era proprio famoso per la sua intonazione o per il bel timbro vocale. Di contro, John era un ragazzo prodigio, ma molto introverso e insicuro.
Esibizione 1: Stone Cold Bush. La band suona bene, Anthony dà il meglio di sé facendo un headbanging così folle che solo a guardarlo mi veniva voglia di buttare giù 8 Moment-Act. John, alla sua sinistra, sembra fare il suo, ma scopriremo dopo che qualcosa era già andato storto durante le prove e nel backstage. Tant’è che durante un momento strumentale, Anthony prende a roteare a terra, ma all’improvviso inverte il moto e una sua gamba andrà “casualmente” a scontarsi con le cosce di John. Applausi. Pubblicità. Sketch comici.
Esibizione 2: Under The Bridge, ad oggi una delle loro canzoni più celebri, era il nuovo singolo estratto dall’album Blood Sugar Sex Magik. Una ballata malinconica che raccontava della dipendenza da eroina di Anthony. L’intro con assolo di chitarra era naturalmente funzionale all’attacco vocale molto complesso per uno che, diciamocelo, non sa cantare. E infatti John decide di rivoluzionare tutto. Cambia tempo, cambia note, “sperimenta”. Anthony attacca a cantare nel miglior modo possibile (in realtà neanche così male) e si volta, dando le spalle a John, quasi per non vederlo ed evitare di menargli (di nuovo). Nessuno si accorge di nulla, ma loro sanno benissimo cosa sta succedendo.
La settimana successiva Blood Sugar Sex Magik inizierà a scalare vertiginosamente le classifiche statunitensi, salendo gradualmente e fino all’ottava posizione.
Un paio di mesi dopo John Frusciante uscirà dal gruppo.
Brizzi, mannaggia a te
Se seguite la stampa musicale, anche quella che appare di tanto in tanto sui media generalisti, sono sicura vi sarete imbattuti nell’originalità dei titoli utilizzati per raccontarci delle volte in cui John Frusciante è uscito e rientrato nel gruppo. (Entrato: 3, Uscito: 2). Sappiamo tutti qual è la reference culturale tutta italiota e vi dirò che per me fu un vero shock quando nel 1999 scoprii che Jack in realtà si chiamasse John.
In un periodo di schizofrenia musicale in cui mi alternavo tra Oasis, Spice Girls, Radiohead, Backstreet Boys, Nirvana, Hanson e Green Day, MTV decise di aumentare la dose di confusione adolescenziale inondando la programmazione quotidiana di abnormi dosi di video estratti dall’album Californication.
La narrazione promozionale naturalmente si concentrava non solo sul fatto che John fosse rientrato nel gruppo, ma che fosse praticamente resuscitato.
Dopo le morti di Kurt Cobain e River Phoenix, non pareva vero che uno che sembrava destinato a fare la stessa triste fine, fosse tornato più forte di prima. Naturalmente io corsi ad acquistare il cd a scatola chiusa, affascinata dalla drammaticità dell’evento (e da un assolo di chitarra stupendo in chiusura al singolo Scar Tissue).
Sensazionalismo a parte, Californication fu un successo enorme e Frusciante si dimostrò in formissima. Suonava come un dio, aveva una dentatura nuova di zecca, meditava, faceva Yoga e beveva acqua Fiji. Proprio Scar Tissue, il video del primo singolo, però ci nascondeva qualcosa. Girato nel bollente deserto del Mojave, mentre gli altri membri della band ci venivano mostrati spesso a petto nudo, John indossava sempre una camicia a maniche lunghe. Ci stava nascondendo le sue “Scar Tissues”:
le braccia martoriate dall’uso sbagliato delle siringhe per iniettare eroina lo ha lasciato cicatrizzato a vita. Uscito da poco dalla riabilitazione e di nuovo alla mercé del pubblico e dell’industria, aveva una camicia e una chitarra a proteggerlo.
Manuale della rockstar anni ‘90
John Frusciante aveva 18 anni quando entrò nei Red Hot Chili Peppers. Era un adolescente nerd della musica e della chitarra. Aveva trascorso la maggior parte della sua adolescenza in camera a imparare a suonare lo strumento per una media di 10 ore al giorno. Era un fan della band di cui entrerà a far parte, e in particolare del chitarrista che lo aveva preceduto, Hillel Slovak (deceduto per overdose nel 1988). John era insicuro, molto più giovane dei suoi compagni di formazione e aveva paura di sembrare strano, quindi indossava una maschera da duro e puro per far colpo su Anthony e Flea, i quali però lo bullizzavano ‘amabilmente’ come solo i maschietti tossici sanno fare (vedi Saturday Night Live).
Presto avrebbe preso consapevolezza del fatto che suonare in un gruppo era molto più che uno status: era il modo che aveva per canalizzare al massimo la sua creatività, ma non aveva calcolato le interviste, gli aeroporti, gli incontri con le case discografiche e tutto il circo intorno a una band di successo internazionale.
Niente di nuovo all’orizzonte, chiariamoci; same old story: musicista intenso e spirituale rifiuta i meccanismi dell’industria. Molla tutto e la storia ci racconta che a seguito e per causa di una forte depressione, l’uso di droghe aumenti vertiginosamente, rischi la morte due volte per infezioni causate dalla dipendenza e pubblichi due dischi solisti. Il secondo, ritirato dal mercato nel 1999, utile solo a racimolare soldi per comprare la droga.
Ma che differenza c’è tra la storia della dipendenza da eroina di John Frusciante e Anthony Kiedis?
Sicuramente dal punto di vista personale le differenze potrebbero essere molte, ma nella percezione pubblica ce n’è una e sostanziale: esiste un documento video che mostra le condizioni in cui versava il chitarrista durante la sua tossicodipendenza (e secondo i racconti dello stesso, non può essere considerato neanche il momento più intenso dell’ esperienza).
Se da un lato non riesco a capacitarmi del fatto che questa intervista esista e mi sono ripromessa di non vederla mai più in vita mia, dall’altro vorrei che oggi venisse mostrata come monito in un periodo come il nostro in cui è tornato l’incubo dell’eroina e degli oppioidi.
L’intervista nasce, in realtà, come introduzione alla messa in onda in Olanda di Stuff, un corto girato dai suoi amici Johnny Depp e Gibby Haynes, per mostrare le condizioni in cui versava all’epoca la casa del chitarrista. Nel 1995 un presentatore che qualche anno prima durante un tour promozionale con i RHCP lo aveva messo a suo agio, aveva chiesto a John di concedergli un’intervista da associare alla trasmissione del corto. All’epoca della messa in onda, nulla di tutto ciò arrivò in alcun modo ai miei occhi o alle mie orecchie di decenne, ma il mondo della musica aveva visto e aveva sentito. Il dolore di John era palpabile e sono sicura che in pochi avrebbero scommesso un centesimo sul suo ritorno. (nb: Il video è fruibile su YouTube, ma ne sconsiglio la visione in caso di forte sensibilità al tema e/o alle problematiche derivanti da tossicodipendenza)
L’ingrediente non segreto dei Red Hot Chili Pepper
Il grande paradosso nella storia di John Frusciante è che l’andamento del successo dei dischi della band va di pari passo con le sue entrate e uscite nella formazione. Per essere uno scappato dalla fama e rientrato dopo aver toccato il fondo, il fatto che abbia trovato un modo per valorizzare al meglio la musica della sua band mentre la popolarità cresceva a dismisura, è una dimostrazione di forza non indifferente.
Gli anni ’00 sono stati costellati da loro canzoni onnipresenti in radio e tv. Hanno raggiunto fama mondiale e conquistato almeno un paio di generazioni in più di fans.
La seconda fuoriuscita di Frusciante risale al 2009 (dopo tre dischi consecutivi), stavolta però niente droga o animosità con gli altri membri; bensì la presa di coscienza che per stare bene avesse bisogno di staccare la spina. Ritirarsi, rendersi indipendente per fare musica come e quando voleva lui. In dieci anni ha sperimentato così tanto fino ad arrivare a pubblicare tracce elettroniche su soundcloud e mettere sù un’etichetta di musica electro.
In parallelo i Red Hot Chili Peppers hanno pubblicato due dischi sui cui non mi esprimerò perché mi sono passati davanti senza suscitare alcun interesse.
Nel 2019, a grande sorpresa, John è rientrato nel gruppo (scusate) e io ricordo di aver alzato le spalle, nonostante, Vostro onore, chiedo che sia messo a verbale che sono una grande sostenitrice del concetto oggettivamente fazioso “I RED HOT CHILI PEPPERS SONO JOHN FRUSCIANTE, ANTHONY KIEDIS NON SA CANTARE, FLEA PURE PURE… MA TROPPO FUNKY, CHAD SMITH È WILL FERRELL”.
Il nuovo disco, Unlimited Love, è stato pubblicato l’1 Aprile (raggiungendo la seconda posizione in Italia, la prima in USA e svariati paesi del mondo, ma comunque top ten assicurata). Da ascoltatrice sono rimasta alquanto indifferente. Da osservatrice, invece, sono felice che si siano ritrovati, ma soprattutto che Frusciante possa aver fatto pace con il concetto di creatività+industria e che sia ancora qui, sorridente e in pace con se stesso (presenziando serenamente a una delle celebrazioni americane più cringe: l’assegnazione della stella sulla Hollywood Walk of Fame)
Chi dobbiamo ammirare? Il Presidente?
Siamo soliti ricordare la morte di Kurt Cobain, oppure glorificare il bravissimo e amatissimo Taylor Hawkins dopo la tragica morte di qualche settimana fa. Sarebbe, però, ancora più bello se provassimo a ricordarci anche di quelli che ce l’hanno fatta. Proprio qualche giorno fa parlavo con il mio parrucchiere di quella famigerata intervista olandese di Frusciante, e a un certo punto, anche un po’ per sdrammatizzare la durezza del ricordo di quelle immagini, ci siamo detti che “se ce l’ha fatta lui, ce la possono fare tutti’”.
So che è generalizzazione facilotta, non me ne abbiate, ma il mio punto è che
sarebbe così bello celebrare di più un’esistenza come la sua, invece che ricordare morbosamente certi eventi così drammaticamente personali e, a loro malgrado, tossici.
E lo dico con il massimo rispetto per quelle vite perse e per chi ne ha sofferto, ma l’attenzione (e spesso fascinazione) nei confronti della star controversa e autodistruttiva ha, a mio parere, superato la data di scadenza da un bel po’.
Nella fase di ricerca per la scrittura di questo pezzo, ho avuto un’epifania molto ironica sui concetti di Role Model espressi dallo stesso Frusciante a distanza di 5 anni e in due momenti molto diversi della sua vita.
In QUELLA intervista parla di come le rockstar gli avessero salvato la vita e di come lui avesse deciso di farsi di cocaina perché lo faceva Bowie in modo molto aperto; e quando il presentatore gli chiese perché credeva che alcune persone, lui incluso, sentissero il bisogno di alterarsi in modo così estremo immettendo nel proprio corpo certe sostanze, tra le tante risposte un po’ sconfusionate che John fornì, ci fu un riferimento che sono sicura saprete cogliere: (ndr: allo stesso modo della droga).. Penso che qualcuno che ti tira un calcio nelle cosce…qualcuno che vedi come esempio di mascolinità, ti possa alterare. (Ahia, Anthony!)
Esattamente cinque anni dopo, fresco di rehab e rientro nella band, durante una caotica intervista vicino a una folla di fans impazziti, ci fu questo scambio tra un’intervistratice, John e Anthony:
Presentatrice (a John): ‘Sembra che tu ora sia più preparato ad affrontare tutto questo’ (ndr: fama, la band, promo, ecc)
John: ‘Sì, quando lasciai la band ammiravo personaggi della musica che non avevano avuto successo (…) e io non volevo avere successo. Da allora, però, ho preso coscienza del fatto che ci sono molti personaggi famosi che sono amati e che io amo (…), che le rockstar possono fare cose buone per la gente. Il rock ci dà la possibilità di ammirare persone che sono sane (ndr: da interpretare in termini di valori e morale) e non necessariamente il tipo più ricco della città. Le rockstar sono persone da ammirare e servono una buona causa (…)
Presentatrice (con tono provocatorio): ‘Pensi che le rockstar siano da ammirare?’
Anthony (in aiuto a John, un po’ spiazzato dalla provocazione): ‘… ha dato una spiegazione…una bellissima spiegazione…so che sembra una cosa strana da dire, ma…’
John (a Anthony): ‘è strano? Chi dobbiamo ammirare? Il Presidente?’
Ecco, vostro onore, c’è una rockstar che ammiro. È una persona che vorrei prendere ad esempio: Il suo nome è John Frusciante e non è per niente male con la chitarra. Ascoltare per credere.