Era il 2000 e camminavo su The Mall, il lungo viale alberato che collega Trafalgar Square a Buckingham Palace. Durante il percorso iniziai a guardarmi intorno alla ricerca di un oggetto molto comune nelle strade d’Occidente, ma niente. Pazienza, “ne troverò uno più avanti”, pensai. Deserto. Nulla. Incredula, strizzavo gli occhi per intercettarne qualcuno dall’altra parte della strada. Negativo. A quel punto interpellai la cugina di mio padre, nata e cresciuta a 30 miglia da Londra, sull’assenza durante il percorso di quegli oggetti meglio conosciuti alla civiltà contemporanea come cestini della monnezza. Scoprii che erano stati deliberatamente omessi per “paura delle bombe dell’IRA”. Benissimo, nessun problema. Non c’era alcun bisogno di scomodare protestanti e cattolici. Decisi quindi di conservare i rifiuti in mano per chilometri e chilometri, fino ad arrivare a Buckingham Palace. Di quel momento ricordo benissimo, oltre alla lattina e alle cartacce, un sentimento: l’adrenalina al pensiero che lì dentro, in quel momento, potesse esserci la regina.
Giuro che non avevo suoi poster in camera, ma già allora subivo il fascino di questa famiglia così assurda e disfunzionale, direi quasi inutile. I reali Inglesi suscitano in me un interesso perverso e non accetterò i vostri occhi al cielo. Sapete bene che non sono la sola. Chiedetelo ai 50 milioni di persone nel mondo che un anno fa hanno deciso di dedicare almeno un minuto della propria attenzione a uno speciale televisivo dal titolo Oprah with Meghan e Harry.
La famiglia reale Inglese è una bestia strana, stranissima e ha un tremendo rapporto di co-dipendenza con la stampa. Roba che avrebbe bisogno di decenni di terapia di coppia. Ed io che nelle storie drammatiche di ricchi e famosi ci sguazzo, ho deciso di tracciare un percorso a tre tappe per capire come siamo arrivati a questo punto. Sedetevi perché voglio raccontarvi una storia di lamentele, milioni di sterline e attrezzatura di vecchia tecnologia per montaggio video.
Capitolo 1, Lady D. e quel “matrimonio affollato”
Forse vi avranno già raccontato del fatto che Lady Diana sia stata uccisa dai giornalisti. Narrazione certamente pretestuosa, ma che rende bene l’idea. Tutti volevano un pezzo della principessa triste e non si facevano scrupoli per raccontare e speculare; il tutto, purtroppo, sulla sua pelle e dei suoi cari.
Come si era arrivati a questo punto?
La short version ci riporta al 1995, vale a dire due anni prima dell’incidente che ne causò la morte.
Panorama è una delle trasmissioni di approfondimento più prestigiose della BBC e in quell’anno trasmise un’intervista esclusiva a Diana in cui la principessa aveva deciso di parlare apertamente di depressione post-parto, disturbi alimentari, inadeguatezza e, soprattutto, dell’unione tra lei e suo marito, il principe Carlo. All’epoca della registrazione, i due erano pubblicamente separati, ma non divorziati. Bastava questo a suscitare curiosità e attenzione morbosa, che tenevano alta la sorveglianza dei tabloid alla ricerca di storie che testimoniassero relazioni extraconiugali dei due. Di questo memorabile momento televisivo restò alla storia il seguente scambio:
Martin Bashir: Crede che Camilla Parker-Bowles sia stata un fattore nella rottura del suo matrimonio?
Principessa Diana: Beh, eravamo in tre in questo matrimonio, quindi era un po’ affollato.
Leggenda vuole che in quel momento esplosero le teste dei capo-redattori inglesi. Non era solo il contenuto, ma la forma. Diana aveva fatto loro il regalo più bello: un titolo verbatim. Era sveglia, la principessa. Conosceva i suoi polli e per quanto quella frase fu espressa con un enorme manto di tristezza, sapeva bene quello che stava facendo. Voleva colpire, voleva vendicarsi.
Un mese dopo i giornali riportavano la notizia secondo cui la regina avesse chiesto ai due di finirla con ‘sta buffonata. Il divorzio del futuro re d’Inghilterra venne finalizzato nell’estate del 1996. Nel frattempo l’attenzione nei confronti di Diana era diventata sempre più morbosa e invadente, ma i giornali erano anche il mezzo più potente che aveva per definire la sua identità al di fuori della famiglia reale.
Nel novembre del 2020, venticinque anni dopo la trasmissione, Channel4 (emittente privata inglese) mandava in onda un documentario in cui riportava a galla vecchi sospetti (e qualche prova) secondo cui l’ormai celeberrima intervista fosse stata ottenuta con l’inganno: il giornalista Martin Bashir avrebbe falsificato documenti fiscali e di varia natura per spaventare Diana, facendole credere che la famiglia reale stesse tramando alle sue spalle. Ad aggravare le cose c’era l’atteggiamento della santa, giustissima, superperfettissima BBC che pare avesse guardato da un’altra parte. Forse fuori dalla finestra, o stava al cinema a vedere il primo James Bond con Pierce Brosnan, ma sicuramente non stava guardando ai brogli di un proprio dipendente. (Occhiolino)
Sotto forte pressione del fratello di Diana, la BBC decideva quindi di aprire un’indagine interna che porterà anche il mesto e compito principe William (futuro erede al trono) a rilasciare più dichiarazioni a proposito, compreso un video pubblicato sui propri canali social in cui accusava l’organo radio-televiso pubblico più famoso e prestigioso al mondo di avere
mostrato una dolorosa incompetenza durante le indagini sui reclami e sulle preoccupazioni relative al programma. (….) evasivi nel riferire ai media e hanno nascosto ciò che sapevano dalle loro indagini interne
aggiungendo che
l’intervista è stata un contributo importante per peggiorare la relazione dei miei genitori e da allora ha ferito tanti altri .
Nell’agosto del 2021 il Daily Mail riportava che la BBC avesse raggiunto un accordo in cui si impegnava a donare 1.50 milioni di sterline a un’associazione di beneficienza di scelta della famiglia reale, per fare ammenda dell’accaduto. La somma includerebbe l’1.15 milioni di sterline che l’azienda aveva incassato con la vendita internazionale dei diritti dell’intervista e i restanti soldi avrebbero valenza di risarcimento.
La narrazione mediatica vuole che successivamente alla morte Diana, i giornalisti inglesi misero la testa a posto, diminuendo il grado di invadenza nei confronti dei reali, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla stessa esistenza della principessa è che le favole a lieto fine, spesso, non esistono.
Capitolo 2 - Segreterie telefoniche e come (non) usarle
Nel 2010 il New York Times pubblicava un’inchiesta dal titolo TABLOID HACK ATTACK! A corredo, una foto dei principi William e Harry in cui quest’ultimo appariva particolarmente preoccupato. Nell’articolo si parlava di un tabloid, il News of the World, che sembrava avesse messo in pratica un peculiare sistema di hacking, stalking, intercettazioni, corruzione e chi più ne ha più ne metta. Esattamente l’ABC del non-si-fa.
In realtà l’inchiesta non era partita dal New York Times, bensì dal quotidiano inglese The Guardian; ma il suo direttore, esasperato dai tentativi di depistaggio e dalla scarsa attenzione mostrata da altre testate inglesi, aveva chiesto supporto al giornale più autorevole del mondo. Quello fu, quindi, il primo passo verso uno scandalo che portò lo stesso News of the World a chiudere i battenti dopo 168 anni di disonorata carriera.
La Leveson Inquiry (l’indagine che prese il nome dal suo giudice) del 2012 aprì un vaso di pandora di avidità, cattiveria, arrivismo, competizione, e bassissima morale che aveva colpito molti altri giornali oltre ai più palesementi colpevoli: News of the World e The Sun.
Come si era arrivati a questo punto?
Ebbene, Cera una volta un principe (William) che inviò un messaggio vocale a un corrispondente reale del canale ITV in cui chiedeva in prestito un’attrezzatura per montaggio video. Informazione di dubbia utilità, eppure il giorno dopo News of The World pubblicava un articolo sarcastico in cui si faceva riferimento proprio a questa richiesta di William, il quale iniziò a sospettare che non si trattasse di una semplice fuga di notizia. Dopo altri episodi, la casa reale interpellò Scotland Yard e lì si intravidero le prime crepe nel vaso.
Spesso e volentieri le notizie erano frivole, ma come sappiamo ai tabloid non importa se il titolo in prima pagina di un giovedì qualsiasi possa scatenare un dibattito in parlamento. A loro piace urlare una cosa stupida, per far ridere, per prendere in giro, per bullizzare e per fare soldi. Cosa accomunava News of the World e The Sun? Facevano parte di News Corporation: il conglomerato di media di Rupert Mudoch, il quale non ha colpe nell’invenzione nella stampa scandalistica, ma senza dubbio ne ha tante nella sua evoluzione in organo mediatico ripugnante e complice della bassezza morale nel discorso culturale occidentale.
Sapete, infine, chi era una delle ‘vittime’ preferite dei tabloid? Un ragazzo dai capelli rossi che un giorno del 1997, a 12 anni, fu costretto a camminare dietro la bara della madre in diretta mondiale. Si chiamava Harry e la sua (ex) ragazza veniva intercettata regolarmente. Per non parlare di tutte le volte in cui le sue avventure di giovane adulto nel mondo, avevano generato titoli sarcastici al limite della cattiveria.
Negli anni a seguire le testate coinvolte hanno risarcito le vittime, ma non il principe Harry. Lui non ne ha voluto sapere di ammende in forma di soldi e ha dato il via a una battaglia legale nei confronti sia del defunto News of the World che del The Sun (ancora in vita). Una dimostrazione da parte di Harry di voglia di giustizia, rivalsa e vendetta. Una storia di cui probabilmente ci racconterà nella sua autobiografia in uscita nei prossimi mesi, perché ora che Nonna ha chiuso i rubinetti (pagati in parte dai cittadini), bisogna pur campare.
Capitolo 3 - Galline e Corporations
Marzo 2021, a Santa Barbara viene sganciata una bomba a mano che prende il nome di madò-la-regina-è-razzista! No, no. Fermi tutti. I fabbricatori della bomba hanno tenuto a precisare che lei nello specifico non lo è, e neanche il defunto principe Filippo. Peccato che ormai fosse difficile ricostruire dalle macerie. Ad oggi, non sappiamo esattamente chi abbia chiesto di che colore sarebbe venuto fuori il primogenito di Harry e Meghan, ma pare che sia successo e comunque anche questo è l’ABC del non-si-fa.
Trattandosi di evento recentissimo e iper-discusso, le spiegazioni stanno a zero, ma…
Come siamo arrivati a questo punto?
Ebbene, per farla ancora una volta breve, nonostante la signora Markle abbia dichiarato di non aver cercato informazioni sulla famiglia del ragazzo che frequentava (Meghan….) e di essere entrata un po’ ‘ingenuamente’ nella relazione (Meghan….), io stessa potevo annusare lontano esattamente 1.145 miglia che la fanciulla era a rischio attacco dei tabloid. Amol Rajan, giornalista della BBC, nonché grande appassionato e spiegatore ufficiale del rapporto tra i media e i reali, sostiene che dopo il Leveson Enquiry (vedi capitolo 2) i tabloid avessero messo la testa a posto. Aridaje.
Oggi, nel raccontare quella che conosciamo come Megxit, i corrispondenti reali sostengono che inizialmente la stampa fosse per lo più positiva nei confronti di Meghan Markle. Certo, se non contiamo quella volta in cui pagarono un investigatore privato americano per incastrare quel povero cristo del padre; o di quella volta in cui fecero un’associazione totalmente arbitraria tra Meghan e il quartiere Compton; oppure di quella volta in cui una giornalista mise a paragone il suo DNA esotico con quello di Harry (blu?); oppure di quella volta in cui, raccontando di Kate Middleton che si toccava il pancione i titoli segnalavano imminente parto, mentre nel caso di Meghan, pura vanità. Dai sì, mi sembra una copertura mediatica abbastanza immacolata. Niente da dire.
Il principe Harry, che sospetto abbia una stanza di agendine nere in cui ha appuntato tutte le volte in cui la stampa lo ha ferito, a quel punto decise di intervenire e di farlo a modo suo: negarsi più volte alla stampa e dimostrare fastidio, fino ad arrivare ad un comunicato stampa in cui accusava i giornali, tra le altre cose, di razzismo e sessismo nei confronti della sua futura moglie (oltre alle azioni legali). Risultato sui tabloid: misuratore di cattiveria e bullismo alle stelle! Ora, senza entare nel merito delle accuse mosse durante la famosa intervista con Oprah Winfrey (perché siamo d’accordo che qui manca una campana bella grossa?), in realtà non c’è da meravigliarsi se nel gennaio del 2020 Meghan e Harry abbiano preso la valigia di cartone dorato volando verso il Canada prima, e gli Stati Uniti dopo, dove ora vivono felici con delle galline, due figli e dei contratti multimilionari con media corporate che utilizzeranno per capitalizzare sulla storia di una famiglia monarchica di cui un tempo facevano parte e che adesso hanno umiliato in mondovisione.
E sapete che c’è? Che io sarò lì a guardare e ad ascoltare.
Fine, quasi.
È cosa naturale che il mondo dell’intrattenimento si basi su accordi non detti con la stampa; ma in questo caso si tratta, tecnicamente, di un’istituzione pubblica. Di un capo di stato.
Penso sia perverso e morboso che proprio Harry e Diana, presi di mira così platealmente - nonché i più aperti a proposito - siano universalmente i preferiti dell’opinione pubblica (esclusa la regina che gioca un campionato a sé).
C’è una persona in questa storia che ho provato ad evitare manco fosse la peste. Si chiama Carlo e un giorno, forse, si dice, pare, dovrebbe diventare re d’Inghilterra. Se avete visto The Crown forse saprete che il suddetto ne esce con una reputazione leggermente migliore di Jack Lo Squartatore. Naturalmente parliamo di un’operazione di finzione drammatica, che però sembra raccontare molte più verità di quanto loro stessi non vogliano farci credere. Ma questo non è che l’ennnesimo tentativo di denigrazione del principe. Eppure raramente lo abbiamo sentito lamentarsi, nonostante di motivi ne abbia avuto a profusione.
Come immaginerete, non conosco personalmente questo signor Carlo, perciò mi astengo da giudizi sommari sulla sua personalità, ma un po’ mi dispiaccio quando penso che per anni abbia dovuto subire attacchi e bullismo dalla stampa in misura quasi eguale a quella dell’ex moglie e del figlio. Mi basta scavare nei ricordi televisi degli anni ‘90 per trovare scenette imbarazzanti del Bagaglino in cui veniva rappresentato come uno stupido mammone e la sua innamorata, Camilla, come una donna brutta e poco raffinata.
Lui, però, così come il suo primogenito William e sua madre Elisabetta, non può (o non vuole) prendersi quel lusso di abbandonare tutto - nonostante sono sicura che nessuno lo rimpiangerebbe come re. Carlo il gioco lo conosce bene. Quell’accordo non detto con la stampa va mantenuto e bisogna accettare anche le prese in giro e i titoli umilianti, perché alla fine cos’è la casa reale inglese se non un brand? Provate a pensare ai doveri della regina in qualità di capo di stato. Scusate, mi sono persa nell’oblio della tabula rasa nel vostro cervello. Ora provate a pensare a un cappello della regina. Ecco.
Un brand, o meglio, una Firm - come viene teneramente chiamata nell’ambiente - ha bisogno dei media per sopravvivere, e non basta un profilo instagram o un comunicato stampa su twitter. Bisogna tenere alta l’attenzione, anche quando sembra ridicola o invadente, e per questo ci sono i ripugnanti Daily Mail, Daily Mirror, The Sun, ecc. Del resto, in che universo una quattordicenne italiana accetta di camminare per chilomentri con dei rifiuti in mano pur di avvicinarsi fisicamente al mito della regina d’Inghilterra?
Io non ho ancora ben capito chi sia la vittima e chi il carnefice, ma posso dirvi che ho segnato Novembre 2022 sul mio calendario. Perché a me, e a tutti gli altri, non interessa molto del giubileo della regina e dell’articolo del principe Carlo sul cambio climatico pubblicato da Newsweek.
Io voglio vedere la quinta stagione di The Crown aprirsi con il discorso della regina al Guildhall, quando definì l’anno appena trascorso, il 1992, il suo Annus Horribilis.
Ecco, magari qualcuno avrebbe dovuto dirle che sareebbe stato solo il primo di tanti.
Sì, Andrew. Ce l’ho con te.